Tra il 10 ed il 14 marzo 2025, presso la Biblioteca Centrale della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno, si è tenuto un laboratorio sulla “Comunicazione non violenta”, un progetto delle Biblioteche Civiche Torinesi e Circolo dei Lettori.
Il laboratorio, condotto da Irene Zagrebelsky, ha coinvolto un gruppo di detenuti e detenute della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno sulla comunicazione nonviolenta, un modo di entrare in relazione ponendo l’attenzione sui sentimenti e sulle emozioni, sui bisogni, per poter trasformare pensieri e giudizi ascoltando sé stessi e gli altri con empatia.
“Qual è il nostro funzionamento quando siamo in situazioni difficili e di conflitto? Quando siamo arrabbiati, cosa succede dentro e fuori di noi? Come possiamo gestire le emozioni in modo che non siano distruttive per noi stessi e per gli altri?”
L’aspirazione del laboratorio intendeva creare un cerchio di dialogo in grado di mettere i partecipanti nella condizione di potersi esprimere liberamente attraverso un ascolto reciproco, per capire come si gestiscono i momenti di conflitto.
Cosa funziona nella nostra esperienza? Cosa non funziona? Cosa possiamo imparare l’uno dall’altro? Come ci si può dare sostegno nella quotidianità e nelle difficoltà della vita carceraria?
Di seguito il rcconto dell’esperienza da parte della conduttrice Irene Zagrebelsky.
In cerchio con la Comunicazione nonviolenta
“Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme con la mediazione del mondo” Paulo Freire
Le sedie sono in cerchio nella sala della Biblioteca Civica presso la Casa Circondariale Cotugno e Lorusso di Torino. Sarebbe bello poter aggiungere ancora qualche sedia, aprire il cerchio a tutte le persone che hanno chiesto di partecipare ma più di 24 sedie è proprio impossibile.
Ogni giorno dalle 9 alle 11 per 5 giorni consecutivi le sedie rimarranno così e sarà la possibilità di far convergere in questo spazio le nostre diverse traiettorie. Siamo accompagnati dalla Comunicazione nonviolenta e grazie al sostegno e all’organizzazione della Fondazione Circolo dei Lettori che propone qui ogni anno iniziative di responsabilità sociale in collaborazione con le Biblioteche Civiche Torinesi. Quando mi hanno chiesto di collaborare portando la mia esperienza di Comunicazione Nonviolenta sono stata molto felice.
A distanza di qualche giorno dalla conclusione del progetto, scrivo per lasciare traccia di quanto vissuto, intrecciando alcune mie parole con alcune dette o scritte da chi tra le persone detenute ha partecipato. Nel lasciare qualcosa di scritto vi è soprattutto il desiderio di costruire ponti di comunicazione tra il “dentro” e il “fuori”.
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Ogni incontro ha una durata di 2 ore e una intensità che supera di gran lunga il tempo misurato dai nostri orologi.
Tutto acquista, in questo contesto, molto valore. Ogni mattina c’è il momento dell’arrivare, dell’incontrarsi. Atteso e mai scontato. C’è chi arriva dalla vita del “fuori” e chi dalla vita del “dentro”. Tutti cerchiamo di arrivare il più in orario possibile ma i tempi dipendono dai controlli, da quando un agente può accompagnare le persone detenute perché raggiungano la Biblioteca dai loro rispettivi “blocchi” delle sezioni maschili, più o meno lontani. Ogni mattina accogliamo piccoli sfasamenti di orario nel desiderio di incominciare con il cerchio completo e nominando eventualmente chi in quella giornata non ha potuto esserci per una visita medica o un colloquio con i famigliari o altri imprevisti. Poche sono le sedie che rimangono vuote e alta la costanza e il desiderio di essere presenti.
Alcuni partecipanti già si conoscono, in particolare chi collabora con la Biblioteca occupandosi di portare i libri a chi ne fa richiesta nei diversi blocchi e che in questa occasione si sono occupati anche di promuovere questo laboratorio tra i detenuti. Ma la maggior parte di loro non si conosce ancora, perché in Blocchi diversi o perché comunque non è sempre scontato aver desiderio e modo per farlo anche abitando gli stessi spazi e le stesse pene, nel tempo della vita carceraria.
Arrivano anche 4 donne dalla sezione femminile. Siamo veramente pronti per incominciare.
Creare un nostro cerchio significa costruire uno spazio in cui ogni persona possa sentirsi a suo agio. Incominciamo quindi il primo giorno con il dirci cosa è importante per noi che in questo spazio succeda o non succeda e a partire da qui stabiliamo degli accordi tra noi:
- Ci diamo del tu
- Parla una persona alla volta. Qualcuno è più a suo agio ad alzare la mano, altri preferiscono non farlo. In ogni caso, abbiamo cura di non sovrapporre le nostre voci.
- Quello che viene condiviso rimane qui e non viene raccontato fuori
- Si ha rispetto per le idee che ogni persona esprime e per ogni persona
- Vogliamo invitarci a portare nel cerchio la nostra sincerità e autenticità
- Non si minimizza quanto una persona sta esprimendo e sta vivendo
- Si rispetta la necessità di esprimersi di ognuno/a e insieme abbiamo cura del tempo, delle energie di chi ascolta e che ci sia spazio per tutti/e (dai monologhi ai dialoghi)
Sono accordi che ci danno una base per il nostro stare insieme. Nascono da e tra noi. Forse per questo nei giorni successivi non faremo difficoltà a rispettarli.
Dopo il primo incontro, mi accorgo che tutta la discussione aveva privilegiato i modi di rapportarsi (regole condivise) e ricerca dei bisogni che ognuno, pur non avendoli esplicitati, aveva bisogno che fossero riconosciuti.
Dopo 4 giorni di conoscenza tra noi e del processo della Comunicazione Nonviolenta, tutti soddisfatti, nessuna divisione in gruppi, gruppetti o isolamenti (Leo).
Qualcuno propone di avere delle etichette da attaccarsi addosso con su scritto il proprio nome. Ci piace infatti l’idea di conoscerci per nome e insieme siamo preoccupati che la nostra memoria non ci assista. È un’idea e così dico che comprerò queste etichette in modo da averle il giorno dopo. Ma qualcuno esprime la sua contrarietà: il desiderio è quello di imparare i nomi, come segno di reciproco interesse umano e senza “chiudere” le nostre individualità in etichette. Perché da un lato c’è la soluzione pratica, ma più forte ancora è la necessità di riconoscerci come persone, di darci valore. In questo modo il piccolo sforzo di memoria acquista un grande significato
Ho imparato i nomi dei partecipanti per “sentirli” più vicini, se non amici, quasi. (Vittoria)
L’amicizia è un poter dire grazie senza possedere alcunché (Paolo)
Tenendo nel cuore l’accordo che quanto è emerso nel cerchio rimane lì e non viene raccontato fuori, non racconterò quanto è stato appunto condiviso tra noi. Se non le domande, la ricerca che per 5 giorni abbiamo portato avanti sul come possiamo prenderci cura dei nostri dialoghi, all’interno di noi stessi e con le persone che ci circondano. Sono le stesse domande che tutti continuamente ci poniamo o che invece continuamente evitiamo. Sono domande che condividiamo in quanto esseri umani e che risuonano uguali che ci si trovi a vivere un’esperienza di carcere o meno:
Come sto?
Come stai tu?
Come possiamo farci più bene e meno male stando insieme?
Come possiamo potenziare quello che funziona nel creare possibilità di dialogo tra me e me, tra me e te e tra noi, anche quando attraversiamo situazioni molto difficili, quando c’è dolore tra noi e quando abbiamo idee diverse?
E come possiamo imparare da ciò che sappiamo che non funziona per creare nuove strade? Dentro di noi, tra noi e nei sistemi sociali che creiamo stando insieme.
Le stesse domande.
Dentro la Biblioteca della Casa Circondariale Cotugno e Lorusso di Torino, ce le poniamo con intensità, con urgenza, senza scansarle. Sono domande che qui ti arrivano addosso, che tu lo voglia o no. In questo nostro cerchio, la fame di risposte è forte così come la necessità di condividere questa ricerca sapendo di non essere soli e potendo darsi reciprocamente conforto e sostegno. È un cerchio pieno di dolorosi apprendimenti, sulla propria e sulla altrui pelle. È un cerchio pieno di vita. Pieno di vite.
È un luogo in cui è possibile dire la fatica di parlare di come ci si sente con la paura di venir giudicati “deboli” per questo. Il dolore di tener dentro tutto con il pensiero che ogni momento di fragilità potrebbe essere utilizzato contro di te. Qui nel cerchio si può, pian piano, provare a mostrare parti di sé indifese. Nella quotidianità dei Blocchi sembra impossibile.
Questo avviene anche fuori dal carcere, lo sappiamo. La vulnerabilità con cui tutto questo viene portato nello spazio del nostro cerchio, prima da una voce, poi da un’altra e da chi ascolta con un silenzio che comprende, è disarmata e disarmante.
Questo corso mi ha aiutato tanto ad aprirmi con gli altri e a farmi star meglio, dovrebbe essercene di più di giorni. Grazie (Matteo)
Questi incontri hanno aperto i miei orizzonti, fatto conoscere altre realtà carcerarie, essendo molto timido mi sono aperto. Grazie di cuore di avermi fatto partecipare (Nando)
È un percorso per me costruttivo che serve molto in questo periodo difficile (Fulvio)
Il sollievo di poter condividere un po’ delle proprie emozioni, lo scoprirle anche negli altri, il chiedersi semplicemente “Come stai?” sono come piccoli mattoncini, secondo l’immagine che ci offre Matteo, di fiducia. La possibilità di percepirci tridimensionali come dice ancora Matteo. E il sentirsi meno soli.
È in tutto questo e nel poter imparare insieme che sta il raccolto e il cuore del tempo vissuto nel nostro cerchio in cui ogni persona ha potuto dare il suo contributo.
Spero di esser stato anch’io un piccolo pezzo di puzzle che farà parte della cornice della tua vita e che anche noi ti abbiamo lasciato qualcosina di positivo dentro al cuore. (Saverio)
Abbiamo tessuto insieme piccoli e preziosi frammenti di speranza. E grande è il desiderio di poter avere altre occasioni per ritrovarci e allargare il cerchio.
Vorrei che ci fossero altri incontri in un futuro non molto lontano. Non me li perderei, anzi… (Vittoria)
Se avessi conosciuto prima la Comunicazione Nonviolenta sicuramente avrei ascoltato molto meglio causando meno dolore alle persone che avevo di fronte con le sole parole. Ecco quello che la Comunicazione Nonviolente, anche nel poco tempo avuto a disposizione, mi ha trasmesso. Vorrei avere più tempo (Lorella)
Avere più spazi e più tempi. Per nutrici reciprocamente di dialogo, ascolto, di senso, fiducia, visioni, desiderio di percepire e forza di intraprendere nuove strade.
E soprattutto la domanda che questa esperienza fa sentire con ancora più urgenza:
Come possiamo costruire sistemi che continuamente ci permettano di ri-umanizzaci piuttosto che sistemi che ci de-umanizzano?
“Dentro” e “Fuori” la stessa domanda.
Un grazie a Carola Messina, Giulia Valenzano della Fondazione Circolo dei Lettori e a Marco Monfredini, coordinatore della Biblioteca Civica della Casa Circondariale Cotugno e Lorusso di Torino per il loro fondamentale lavoro di organizzazione.
E grazie a tutti e tutte noi che ci siamo seduti nel cerchio.
Irene Zagrebelsky: Formatrice di Comunicazione Nonviolenta certificata a livello internazionale dal Center for Nonviolent Communication (U. S. A) Facilitatrice della comunicazione. Esperta di Teatro dell’Oppresso.




Foto di: Marco Monfredini (Biblioteche Civiche Torinesi Casa Circondariale Lorusso e Cutugno; Coordinamento Biblioteche, Eventi, Attività culturali)